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Fosse stata costruita meglio la Salernitana, chissà se Sannino si fosse dimesso, e chissà se ieri dal San Nicola, si sarebbe usciti a mani vuote, immeritatamente. Perché diciamola tutto, quando perdi nettamente una partita (il punteggio di due reti a zero, unico dato significativo, non ammette repliche) contro un avversario sostanzialmente modesto (al di là dei nomi presenti in organico), dopo aver mostrato per la prima volta in stagione, nel primo tempo, un’identità di squadra (ricevuta in due giorni, con un allenamento ed una rifinitura), con interessanti soluzioni tattiche e la capacità di assecondare concettualmente i dettami del tecnico, l’unica conclusione che puoi trarre al termine dei novanta minuti è la consapevolezza di una grande preoccupazione in vista dell’imminente futuro. Perché la Salernitana uscita sconfitta dal ‘S.Nicola’ di Bari rappresenta ciò che non dovrebbe mai essere una squadra che disputa un torneo importante come la serie B. Una compagine che ha palesato, per l’ennesima volta, evidentissimi limiti strutturali in difesa ed a centrocampo, sia dal punto di vista tecnico, che sotto l’aspetto mentale. Una squadra costruita male, impossibilitata ad essere efficace e continua con qualsiasi sistema di gioco. Un complesso che, nel suo insieme, pregiudica anche la capacità delle sue ‘stelle’ di essere determinanti. Le squadre vanno realizzate dopo aver pianificato un progetto insieme all’ingegnere incaricato di edificare, non affastellando calciatori con caratteristiche atletiche, tecniche e tattiche incompatibili tra di loro. Il calcio, pur essendo un gioco, ha delle regole e dei codici ben precisi da rispettare: coprire un campo di oltre cento metri con undici calciatori è un esercizio che deve necessariamente rispettare ineludibili leggi matematiche ed atletiche. Cento metri da percorrere in lungo e in largo, per quasi cento minuti, non sono uno scherzo, rappresentano fatica da gestire. Per mantenere serrati i reparti, pertanto, c’è bisogno di continuità atletica notevole. E soprattutto di elevati mezzi tecnici che facilitino una manovra nitida e limitino al massimo la dispersione energetica dei protagonisti. Facendo viaggiare bene il pallone e coinvolgendo l’intera squadra in un’azione corale, meno spossante e più redditizia. Altrimenti accade ciò che abbiamo visto a Bari. Primo tempo dominato nettamente dal punto di vista tattico, grazie anche alle novità apportate da Bollini, ma concluso in svantaggio a causa di una difesa leggera e distratta e di un centrocampo che, limitato a livello tecnico e dinamico, non ha saputo sfruttare la superiorità numerica maturata nella zona nevralgica. Perché il ‘4-3-3’ di Bollini, tutt’altro che integralistico, con la sua interessante flessibilità ha creato non pochi problemi alla fase di non possesso degli uomini di Colantuono. Un modulo che in transizione passiva abbassava gli esterni per formare un ‘4-1-4-1’, oppure allargava una delle due mezz’ali (Della Rocca a sinistra e Busellato a destra), lasciando Rosina alle spalle di Coda per comporre un ‘4-4-1-1’. Un assetto camaleontico che evidenziava repentinamente una netta superiorità di maglie granata in mezzo al campo. Anche perché il Bari, con la difesa troppo schiacciata e il trio offensivo scarsamente collaborativo in fase di non possesso, costringeva il terzetto di centrocampisti a sfacchinare maledettamente (e spesso invano) contro i cinque dirimpettai schierati da Bollini. Salernitana padrona del campo, grazie ad un Rosina finalmente protagonista, abile a guadagnare spazio tra le linee, a creare superiorità numerica insieme a Busellato e Perico sul versante destro, con il povero Romizi che vedeva arrivare nella sua zona tanti calciatori rivali. Altra novità tattica, rispetto alla gestione compassata della squadra di Sannino, è rappresentata dalla circolazione più veloce del pallone e dal maggior movimento verticale dei calciatori. Il Bari ci capisce ben poco, avendo scarsi riferimenti ed opponendo una modesta densità al pacchetto mediano rivale. La Salernitana crea tanto con Rosina (traversa e tiro terminato a lato di poco), con Coda che in due circostanze, da buona posizione, non riesce a bucare la porta di Micai. Però i granata potrebbero fare ancora di più, se avessero terzini ed interni capaci di assecondare la vivacità offensiva dei due attaccanti. Ed invece Perico e Luise Felipe si vedono poco, non riuscendo ad approfittare delle praterie disponibili. Allo stesso modo Busellato e Della Rocca, non essendo dotati dello spunto qualitativo da far valere nella trequarti rivale e della reattività atletica necessaria per attaccare tempestivamente lo spazio, non riescono mai a sfruttare l’agibilità procurata loro da un Rosina sempre bravo a calamitare le attenzioni degli avversari. E qui ritorniamo alla premessa iniziale dell’articolo: le ‘diavolerie’ tattiche dell’allenatore di turno e la capacità delle individualità di spicco di realizzare i presupposti per condurre favorevolmente un match, rischiano di immalinconirsi e perdere efficacia se non adeguatamente supportate dalla cifra tecnica degli altri componenti della squadra. Se il Benevento è riuscito a fare una ‘quaterna’ a Bari, contro una squadra che fatica ad essere compatta in fase difensiva, lo deve alla qualità tecnica complessiva dei suoi calciatori, i quali godendo della stessa libertà avuta dai granata sono riusciti a tradurla in gol pesanti. Pertanto, Salernitana incapace di approfittare dell’evidente superiorità tattica pianificata da Bollini, ma l’aspetto ancora più preoccupante è rappresentato dall’ennesima prova di inaffidabilità offerta dalla difesa. Con calciatori sempre approssimativi in fase di disimpegno, in perenne difficoltà nell’uno contro uno, spesso distratti e senza la dovuta determinazione nella tempistica degli interventi, oltre ad essere puntualmente sorpresi e sovrastati sulle palle inattive. Ed è così, quindi, che si spiega il vantaggio ottenuto da un Bari brutto, macchinoso, prevedibile e per nulla equilibrato, capace però di sfruttare scaltramente una delle pochissime giocate compiute dai suoi elementi di maggiore qualità. Gol che arriva sul finire del tempo e va ben oltre il concetto di beffa. La ripresa, condizionata dall’incremento del nervosismo tra le fila granata, presenta sul terreno di gioco una Salernitana decisamente ingolfata e lontana parente di quella viva (ma sterile) ammirata nel primo tempo. La difesa continua a commettere errori madornali, sia in fase di disimpegno che in marcatura. Come in occasione dell’ennesima rete subita su palla inattiva, la seconda di giornata, con i calciatori granata a far da belle statuine al cospetto di un pallone che filtra e danza nei pressi dell’area piccola senza essere spazzato via. E snervante resta anche la difficoltà a fare gioco e ad essere incisivi quando il pallone non è gestito da Rosina. Busellato e Della Rocca, calciatori tatticamente disciplinati, lineari nelle semplici geometrie del loro stare in campo, continuano a mostrare dei limiti nella rapidità d’esecuzione, faticano ad inserirsi con qualità e ad operare spunti sulla trequarti in grado di supportare e far sentire meno isolati Coda e Rosina. I due centrocampisti granata sbagliano tanto e non vanno mai oltre l’ordinarietà. Questa oggettiva sterilità, che si traduce in assenza di idee, consente al Bari, compattatosi a ridosso degli ultimi trenta metri, di gestire con tranquillità il doppio vantaggio. Bollini getta nella mischia Donnarumma e passa al ‘4-3-1-2′. La manovra guadagna qualcosa in termini di incisività, ma ciò accade per intuizioni dei singoli e non perché la squadra riesca a partecipare collettivamente all’assalto verso la porta barese. E’ ancora Rosina a colpire una traversa dai diciotto metri, mentre Micai si supera su una deviazione involontaria del compagno Tonucci. Azioni estemporanee, come il rigore netto non concesso sul fallo di mani di Basha e dopo un’uscita a vuoto dell’estremo difensore biancorosso. Bollini inserisce anche Zito, nella speranza di innalzare il tasso qualitativo del suo reparto mediano, ma l’ex irpino aggiunge solo confusione con le sue testarde e velleitarie iniziative individuali. Colantuono non vuole più correre rischi, spedendo in campo anche De Cesare e Valiani. Il Bari passa al ‘5-3-1-1’, con il quale governa abbastanza agevolmente il disperato ‘4-2-4’ finale a cui si affida Bollini, con Rosina e Joao Silva ad agire da esterni, lasciando a Donnarumma e Coda il compito di giostrare in posizione centrale. Non accade più nulla, con la Salernitana che torna a casa a mani vuote, ancora una volta incapace di approfittare delle difficoltà altrui. Sfortuna, arbitraggi infelici ed errori dei singoli? Anche. Ma soprattutto l’ennesima occasione persa per lavorare all’insegna della costruzione di campionati meno anonimi e sofferti, da offrire ad una tifoseria che non vuole rassegnarsi alla mortificante condizione di ‘figlia di un Dio minore’. Chissà che il male della Salernitana, non sia ancora in casa, e non era colui che si è dimesso con un azione di saggezza e consapevolezza. Fabiani, impari qualcosa, o nel costruire meglio le squadre, o che quando il tempo finisce, capisca quando giunge il momento delle dimissioni.
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