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Servizio di Valerio Lauri @riproduzione riservata
“Il derby è un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore (agli occhi) e la noia (di un risultato già scritto) con intervalli fugaci e per lo più illusori di piacere e gioia”. Arthur Schopenhauer, notoriamente tifoso rossonero nell’allegoria di quest’articolo, continua a stropicciarsi gli occhi, mentre si professa incredulo per ciò che ha appena visto. La stracittadina milanese numero 217, dopo aver dato per novanta minuti l’impressione di voler premiare la squadra che ha sbagliato meno, si risolve con l’esito più scontato, che fa felice solo chi sta in cima alla classifica e si accinge a vincere ancora una volta senza rivali. Dai e dai, Stefano Pioli riesce a conquistare un pareggio accolto come una vittoria, contro il Milan meno attrezzato della sua storia recente. Montella, ovviamente rosicando a fine gara, rafforzerà il concetto, ricordando a tutti gli addetti ai lavori che la squadra nerazzurra, a differenza della sua, è stata costruita per vincere lo scudetto, a suon di milioni e acquisti altisonanti. L’Inter, con il punticino del derby, è a pari punti con l’umile e simpatico Chievo, mica cotica.
IL PESSIMISMO – Il buon Arthur ha imbastito nella mente di Montella la tattica perfetta per battere questa Inter in cerca di riscatto. Un atteggiamento difensivo, già visto con Pescara e – ohibò – Chievo, ma non solo, improntato a far sfogare agli avversari le frustrazioni d’aver cambiato già due allenatori a novembre, per poi sfruttare gli errori con cinismo. D’altronde, Icardi e soci sono subito vogliosi di mostrare le loro qualità, di fronte alla coreografia della Curva Sud, in omaggio a 30 anni di presidenza Berlusconi, farciti con qualche coppetta qui e là. Vista la risposta della Curva Nord, che la mette sull’estetica in quanto contemplatori disinteressati – racconta Schopenhauer -, quelli con la maglia più nera che azzurra fanno sfoggio di vanità per gran parte del primo tempo, inorgogliti dai loro incomprensibili pantaloncini bianchi. Di contro, quelli con la maglia più nera che rossa, scelgono la mestizia di un pantaloncino nero, dando agli oculisti la prima gioia della serata nel veder sbocciare così tante cecità in un San Siro gremito. Passando alla palla che rotola, il filosofo tedesco racconta di un ex Dortmund e Wolfsburg che sceglie nel primo tempo di fallire tutte le più nitide occasioni. Quel Perisic salvifico in più occasioni, di fronte a Donnarumma si sbriciola con un paio di colpi di testa fuori misura da ottima posizione, dando solo l’illusione di non voler incidere nel derby. Montella sapeva bene che le qualità dei suoi uomini non permettevano di impostare la partita sul possesso palla, men che meno se sei costretto a schierare Gomez al posto di Romagnoli al centro della difesa. Il paraguaiano reduce dai fasti di un autogol con la sua nazionale sbaglia il meno possibile, col dettame di randellare e spazzare a più non posso, per evitare danni.
IL VELO DI MAYA – Al cospetto della volontà interista di dare una mossa alla classifica e una gioia ai suoi tifosi, l’essenza di una squadra ancora convalescente ci mette circa 40 minuti a svelarsi. Quando la squadra nerazzurra è già pronta a rientrare negli spogliatoi, e forse con la testa, ci sta già, viene fuori il pragmatismo rossonero, con un paio di contropiedi ben orchestrati. Il primo mette in mostra l’egoismo colombiano di Bacca, che spara tra le braccia di Handanovic un pallone destinato a un facile assist a Bonaventura. Il secondo lo porta avanti proprio Bonaventura, regalando a Suso un passaggio che lo spagnolo tramuta in magia a rientrare, sciogliendo la fuffa avversaria con un tocco vellutato all’angolino. A onor del vero un premio eccessivo all’intervallo per i rossoneri, ma, si sa, il calcio spesso non guarda in faccia al possesso palla. Occorre sottolineare che la stessa natura illusoria assume pure la ripresa. Il Milan, colto da improvviso entusiasmo e anestetizzato dalle paure interiste, inizia il secondo tempo con una carambolesca chance per Bonaventura, in un turbinio di fortune alterne sui rimpalli che porta la palla sul fondo. Schopenhauer, ancora una volta, non si fa fregare: è solo apparenza. Infatti, Candreva, migliore dei suoi, decide di dare una scossa alla sua esperienza sui navigli, sfruttando all’8′ il troppo spazio concessogli da Kucka prima e da Gomez poi. Il tutto nasce da una rimessa molto contestata dai rossoneri, coi moviolisti intenti a valutare un quasi impercettibile tocco di Locatelli e gli esperti di tattica a puntare il dito contro l’ingenuità nel farsi trovare scoperti da un fallo laterale. Tant’è, pareggio e palla al centro.
IL SUICIDIO – Pioli ha dovuto rinunciare, nel primo tempo, alla sua scelta più importante di giornata: quella di schierare Medel al centro della difesa. Il cileno, infortunato, lascia il campo a Murillo, che al 13′ della ripresa mostra tutti i motivi della decisione del neo-allenatore nerazzurro. Il difensore colombiano decide di sopprimere definitivamente i paragoni con Ivan Ramiro Cordoba, smorzando di petto una palla che si poteva tranquillamente allontanare di testa. Il risultato è un passaggio al compagno di nazionale Bacca, che si invola verso l’area interista e serve a Suso la ghiotta opportunità di tornare a casa a piedi. Lo spagnolo, alla vigilia, aveva dichiarato che avrebbe fatto ritorno a casa (vicino Milanello, ndr) proprio così, in caso di doppietta nel derby. Così, il parametro zero più azzeccato negli ultimi due anni da Galliani ubriaca il già brillo (e birillo) Miranda e appoggia in rete il nuovo vantaggio, regalando l’ascesi alla Curva Sud alle spalle di Handanovic. Ma il suicido è anche quello di Montella, che in fase favorevole della gara con un’Inter che balla la capoeira in difesa, decide di inserire Mati Fernandez per Bacca, chiudendosi con tutti gli effettivi dietro la linea della palla. A nulla servono nemmeno il pentimento tardivo nell’inserimento di Lapadula per Niang e di Pasalic che fa appena in tempo ad entrare nel tabellino, alla voce sostituzioni. La conclusione naturale è solo una: l’Inter ci mette quello che può e raccoglie da angolo il gol di Perisic al 92′, tenuto in gioco da uno stanchissimo Locatelli. Lo spazio ai ‘se’ e ai ‘ma’, a fine serata è grande come il rammarico di una vittoria sfuggita. Nel pensare – ad esempio – che Kucka è rimasto in campo a mezzo servizio, penalizzato da un’ammonizione che gli ha sottratto il 50% del suo potenziale, quello di spezzare le manovre altrui. Oppure – sempre, ad esempio – nel pensare che Lapadula è visto da Montella come l’ultima ruota del carro, a dispetto dell’ovazione che invece gli tributa San Siro al suo ingresso in campo.
E’ uno Schopenhauer intontito, ma soddisfatto, quello che lascia San Siro. Dall’alto della sua fede milanista e contrariamente al suo pensiero filosofico, vede il bicchiere mezzo pieno, seppure rovesciato nei minuti finali del derby. La classifica sorride, complice la debàcle della Roma a Bergamo, con un secondo posto dopo 13 giornate su cui, a fine campionato, qualsiasi tifoso metterebbe la firma senza pensarci su due volte. Ce la metterebbe pure Montella, senza ombra di dubbio. Per rimanere lassù, però, servirà maggiore coraggio, a partire dai prossimi due impegni: gli ultimi delle cinque gare contro le piccole prevedono la trasferta ad Empoli e la sfida casalinga al Crotone. L’obbligo di infilare i sei punti è la priorità, per arrivare allo scontro diretto con la Roma e con la sorpresa Atalanta col morale alle stelle. Sognare non costa nulla, Vincenzì.
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