
Views: 2
Intervista di Adamo Recchia
Ai microfoni di Footballweb abbiamo Roberto Beccantini penna storica del giornalismo italiano, le risposte raffinate date da Roberto sono un piacere da leggere. L’intervistato di oggi comincia giovane a fare il giornalista e tutt’ora prosegue, la passione è troppo veloce non la ferma nessuno neanche l’età. Noto tifoso juventino ma sportivo e obiettivo risponde ad ogni domanda però mi prega non sul calciomercato argomento che Roberto non ama.
1) Raccontaci il Tuo primo impatto col calcio. «A Bologna, oratorio di San Cristoforo, cuore della “Bolognina”, il quartiere diventato famoso per l’abiura di Achille Occhetto, all’epoca segretario del Pci, dopo la caduta del muro di Berlino. Papà era juventino, nell’estate del 1957 sbarcò Omar Sivori. Avevo sei anni e mezzo, fu un colpo di fulmine. Diventai juventino anch’io. Il tunnel, i calzettoni giù, quella foresta d’inchiostro, e quei tiri che erano frecce. Un vizio, appunto». 2) Se una persona volesse fare da grande il giornalista sportivo che consigli ti senti di dare? «Di sognare a occhi aperti. Io sono stato fortunato. Quando ero ragazzo, un secolo fa, si poteva sognare a occhi chiusi. Mi piaceva scrivere, mi piaceva leggere. Fui presentato a Gianfranco Civolani, corrispondente di “Tuttosport” da Bologna. Il mio primo maestro. Il 20 agosto 1970, si liberò a Torino la “cattedra” del basket, visto che il titolare, Zelio Zucchi, se ne era andato al “Corriere d’informazione”. Scelsero me. Non avevo neppure vent’anni. Sognavo di diventare giornalista – per la precisione, corrispondente di guerra – ma andava bene anche lo sport. Figlio unico, ne parlai con mamma e papà. Mollai Bologna, subito a Torino. All’avventura. Oggi, a parità di situazione, a Torino avrebbero stappato champagne: uno in meno, non uno da sostituire. Per questo a tutti coloro che vorrebbero diventare giornalisti, mestiere che non è un mestiere ma una passione, e che continua a esercitare un’attrazione enorme, consiglio vivamente di preparare un piano B. Non possono contare sul mio culo». 3) Juventus, il tuo grande amore: cosa manca a questa squadra per vincere in Europa? «Più che questo o quel giocatore, la forza di reggere il peso della partita secca. Quando si perdono sette finali di Champions su nove, da Platini a Higuain, non contano solo i fatturati (penso al Real). Conta la testa». 4) So che non sopporti il mercato, ma dicci solo in quali reparti o ruoli rafforzeresti questa squadra. «Sugli esterni e a metà campo. Soprattutto a metà campo». 5) Chi saranno secondo te le avversarie per l’anno prossimo della Juventus? «Il mercato chiude il 31 agosto. C’è tempo. Oggi, di sicuro il Napoli. Roma e Inter hanno cambiato allenatore, il Milan no, ma sta cambiando mezza squadra. La famiglia Della Valle ha preso Pioli e messo in vendita la Fiorentina: sarà vero? Difficile che la Lazio di Lotito faccia passi indietro, ma è anche difficile che ne faccia in avanti. La legge dei grandi numeri, alludo ai sei scudetti consecutivi della Juventus, spinge la concorrenza. Ogni anno scriviamo che il divario si è ridotto, prima o poi ci azzeccheremo». 6) Nazionale: cosa pensi della squadra di Ventura? «Il ct deve gestire un trasloco generazionale non semplice. La qualità media è discreta, mancano i fuoriclasse. La vedo seconda nel girone dopo la Spagna e promossa al Mondiale dopo lo spareggio» 7) Var, cosa pensi della tecnologia nel calcio? «Ormai era matura. Troppi soldi in ballo. Troppa tv in giro per scampare a certe topiche. Del resto, alla tecnologia il calcio arriva buon ultimo. Dovremo abituarci. E dovranno abituarsi anche gli arbitri: se la goal line technology era e rimane esclusivamente un alleato, la cosiddetta moviola in campo sarà un alleato e un avversario, nel senso che comporterà, talvolta, correzioni, rettifiche, tutta roba che non dovrà turbarne la serenità. Occhio, però, a spacciare la Var come la soluzione di tutti i problemi. Ne risolverà alcuni. E comunque, affinché possa avere un impatto ancora più “tranquillizzante”, suggerisco di rendere più snelle le regole del fuorigioco (diventato un vero e proprio fuorigiochicidio) e dei falli di mano (mani-comio). Bisogna snellire, non ingolfare. Ci sono offside di centimetri che metterebbero in crisi persino la Nasa, figuriamoci la Var. E, alla fine della giostra, il tempo effettivo: 30 minuti l’uno. Penso che sia inevitabile». 8) Tante società italiane appartengono a proprietà straniere. Come consideri fenomeno? «Lo considero un segno dei tempi. Un effetto della globalizzazione, dello spostamento delle ricchezze, dell’invenzione di nuovi mercati. Sono stati i maestri inglesi, proprio loro, a indicare la rotta. L’Italia si è accodata. Ci sono rischi, c’è mistero, c’è emozione. Fa sorridere, in controtendenza, la diversità della Juventus, che dal 1923 appartiene alla stessa famiglia: gli Agnelli. Molti tifosi ne sono fieri, molti altri no: temono che i cinesi di Milano annullino il gap. Sarà la sfida del prossimo decennio».
Lascia un commento