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Gli ex del calcio: Piero Fraccapani, il difensore per eccellenza
21 Aprile 2025
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Gli ex del calcio: Piero Fraccapani, il difensore per eccellenza

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Intervista di Michele Pisani @riproduzione riservata

Non c’eravamo mai spinti cosi lontano. Nei cinque anni dell’amarcord targato Avellino abbiamo scovato tanti ex biancoverdi ma questa volta amarcord  approda, in maniera virtuale, con la sua macchina del tempo, ai  primi anni settanta. Erano quelli del grande cambiamento. Gli uomini portavano i capelli lunghi e sognavano un mondo senza guerre. Si ascoltava the dark side of the moon, storico successo dei Pink Floyd Pochi ed al cinema c’era la fila per il film Godfather (il Padrino). Ad Avellino giungeva, in silenzio rispetto al clamore delle prime pagine, un giocatore che avrebbe scritto, assieme ai suoi compagni d’avventura, una pagina importante della storia calcistica del glorioso club. In molti  ricorderanno quel periodo e la lettura di questa intervista riporterà alla mente quei momenti. Indimenticabili. Va detto, senza ombra di smentita, che  l’Avellino della massima serie è direttamente legata a quella della metà degli anni settanta, insomma fu figlia proprio di quel periodo. Anche se in molti non l’hanno vissuta, crediamo improponibile la tesi di chi non ne avrebbe mai sentito parlare, è storia tramandata ai più giovani quella dell’indimenticabile cavalcata del 1973 che scaraventò, dopo un esaltante stagione, i lupi per la prima volta in cadetteria. Il primo, grande risultato per una piccola città. Di li a poco il salto in massima serie ma quella è un’altra storia. Piero Fraccapani è uno degli artefici di quella stagione. In punta di piedi e dopo un serio infortunio che gli aveva precluso la possibilità di continuare a giocare nel Milan, giunge ad Avellino dopo essere passato per Salerno. Piero possiamo dire che ti sei trovato in una situazione particolare, tra Salerno ed Avellino non corre buon sangue in termini calcistici, un po’ come Brescia e Bergamo. “In effetti il paragone è calzante. Allora era diverso, non c’era il clamore delle pagine dei giornali ma le due tifoserie erano in forte competizione. Ricordo che molti amici di Salerno pur essendo tifosi granata la domenica preferivano venire al Partenio perché c’ero io.” Rispetto ad altri calciatori del nord non hai vissuto il trasferimento in Irpinia in quanto eri già stato in una città che è in pratica confinante ma le impressioni di allora quali furono? “Salerno è una città di mare ed ha il suo indiscutibile fascino. Ad Avellino ero già venuto a giocare l’anno prima ma non conoscevo il capoluogo irpino se non per il calore dei tifosi e la serietà della dirigenza. Non feci alcuna resistenza, amavo più di ogni altra cosa il calcio giocato e poi avevo la fidanzata a Salerno”. Sono passati quarant’anni. “Non ho alcun rimpianto, due stagioni esaltanti, tra le mie più belle della mia seppur breve carriera. Ebbi un serio infortunio da giovane ed il Milan cercò di recuperarmi in tutti i modi. A vent’anni avevo già il ginocchio lesionato e sono riuscito a giocare solo fino a trenta. In pratica dovetti smettere presto, il mio ginocchio mi abbandonò sul più bello ma non mi lamento. Di soddisfazioni me ne sono prese ed anche abbastanza”. Ad esempio? “Il campionato vinto con Giammarinaro sulla panchina proprio ad Avellino. Una cavalcata indimenticabile, un testa a testa con il Lecce. Sessantadue punti ed allora la vittoria ne valeva solo due”. Grande festa ad Avellino? “Una cosa mai vista, ho ancora la pelle d’oca. La città era dipinta tutta di verde, anche i cani per strada. Incredibile”. La legge del Partendo, cosa ci racconti a tal proposito. “Lo stadio non era ancora completo, gli spogliatoi erano sotto una delle due porte. Eppure i tifosi venivano numerosi, la loro presenza era indispensabile per noi che ci sentivamo coccolati. Gli avversari avevano paura ancor prima di entrare in campo. Pensavano che se eravamo così combattivi fuori casa, al Partendo saremmo stati ancora peggio. In realtà noi in casa campavamo di rendita per quello che facevano in trasferta. Ce la giocavamo con tutti e spesso li mettevamo alle corde. Eravamo un gruppo coeso, pensa che se uno solo dei nostri subiva un fallo tutta la squadra saltava addosso all’avversario. Eravamo solo in quindici e ci integrammo benissimo, la fortuna ci diede una mano nel senso che non avemmo infortuni gravi e potemmo competere con squadre anche più organizzate”. L’anno dopo? “Ci salvammo a quattro giornate dalla fine. Fu una grande festa per tutti i tifosi. Ricordo che quando si vinceva ci aspettavano al casello anche a notte inoltrata”. Anche voi non eravate di certo gli ultimi arrivati. “Vero. C’erano Nobili e Zucchini ma anche tanti altri bravi calciatori”. Dicci qualcosa su Facco, eravate amici? “Mario è più di grande di me di due anni. Siamo cresciuti assieme all’oratorio. Facevamo pari e dispari per le squadre, giocavamo sempre contro e anche nella vita ci capitò di andare uno al Milan e l’altro all’Inter. Lui venne qualche anno dopo ad Avellino, io ero già andato via”. Che ricordo ha di Sibilia? “Una persona come poche. Io ebbi il piacere di avere come presidente anche Massimino. Di gente così non c’è ne più. Era un passionale, se avevi bisogno si toglieva anche le scarpe per aiutarti ma se sospettava che volevi prenderlo in giro erano dolori. Non ti perdonava”. Cosa manca all’Avellino attuale? “Non so, però credo che nel calcio di oggi il problema sta nelle società. Troppi dirigenti che parlano. Non si Va da nessuna parte. Ci vuole uno solo che prende le decisioni, uno solo che si assuma tutte le responsabilità. Il figlio di Sibilia è in politica, perché non si interessa dell’Avellino? Magari non avrà la stessa passione del padre”. Da quanti anni manchi da Avellino? “Ci incontrammo tutti in una due giorni organizzata dal commendatore. Poi io ho mia moglie di Salerno e quindi mi capita spesso di tornare in Campania”. Cosa ti manca di quel periodo? “Le mangiate da Titino. Quando c’eravamo noi aveva solo il ristorante e solo in seguito ha aperto anche l’albergo. Tutti assieme, sempre. Un gruppo che non soffriva di gelosie. Questo è stato il segreto delle tante vittorie dell’Avellino di quegli anni”. Il tifo? “Era diverso. Prima non c’era internet e a noi giocatori ci conoscevano solo per le figurine Panini. Per strada di incontravano, ci salutavano affettuosamente e tutto finiva lì. Ad ogni vittoria ti ringraziavano ma sempre con discrezione”. Non giochi più, cosa fai nella vita? “Appena smesso di giocare sono entrato nel mondo della pubblicità. Vivo a Milano con mia moglie e guardo tanto calcio in tv”. Ci sentiremo presto. “Michele ti ho dato il mio indirizzo, voglio una copia del tuo libro e soprattutto chiamami quando vuoi”. Dopo tanto tempo capita anche questo. Piero ci ha obbligati a rivolgerci con un tono confidenziale. “Se non mi dai del tu non facciamo nessuna intervista”.

 

 

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Giornalista sportivo, iscritto all'albo dopo una lunghissima gavetta. Una passione malcelata per la Formula Uno.

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