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DI STEFANO SICA
“Deve essere una sorpresa, deve essere tutto magico”. Il richiamo di Giuseppe Frondella, responsabile comunicazione della Casertana, ha il profumo della solennità quando è quasi tutto pronto per il gran momento. E’ il segnale che induce i giornalisti a prendere posto e i giocatori rossoblù presenti di radunarsi sul fondo della sala, in semicerchio. Antonio Floro Flores è in una stanza attigua, in compagnia del presidente Giuseppe D’Agostino, del Ds Salvatore Violante e di alcuni membri dell’entourage societario. Finalmente esce il bomber, ed è un profluvio di applausi. Scorrono le immagini più belle di una carriera straordinaria (una chicca del club), che non può lasciare rimpianti in un ragazzo del Rione Traiano venuto su da solo, tra l’affetto dei suoi familiari e dei veri amici, e i consigli di Paolo Palermo che in lui ha creduto da subito. Un piccolo talento a cui nessuno ha regalato mai nulla. Forse un solo rammarico c’è, e sarà lui stesso a spiegarlo senza peli sulla lingua. Si alzano le luci e l’abbraccio con la consorte, Michela Di Miglio, è commovente. Dura quasi un minuto e sembra un attimo di eternità pura. La clip si era chiusa proprio con una sua dedica personale al marito e compagno di una vita, prima che al calciatore. E’ arrivata da Udine, qualcuno sottolinea. E’ lì che il campione si scioglie. Spunta qualche lacrima e la commozione anche in sala è palpabile.
A scogliere il ghiaccio è patron D’Agostino, che si lascia andare ai ricordi: “Ho rivisto una partita giocata dall’Udinese contro l’Inter – incalza -. Fu il migliore in campo, roba da non mantenerlo. Ora arriva il giorno del giudizio, ma quello si sa che prima o poi arriva…”. Quindi un annuncio che non lascia spazio ad equivoci: “Caserta è casa sua, deciderà lui cosa fare. Del resto un futuro importante nel calcio lo merita. Anche per il suo spessore umano, che ne fatto una persona umile e onesta: non era facile decidere di rescindere con altri due anni di contratto”. L’aspetto umano è quello su cui si sofferma anche Violante. E’ un attestato di stima non convenzionale, un attimo di giusta riverenza per un ragazzo rimasto semplice e genuino nonostante prebende e successi. “Io sono onorato innanzitutto per aver conosciuto l’uomo – premette -. Ho conosciuto un padre, una persona perbene persino superiore al calciatore di cui sono stato direttore per sei mesi. Antonio ha coniugato umiltà e passione per il calcio. Il rammarico sta solo nel fatto che avrebbe potuto darci di più”. Floro Flores, che poco dopo illustrerà meglio il motivo del suo addio al calcio giocato, annuisce. Anche questo significa essere grandi.

“Chi lo ha conosciuto sa che cuore grande ha. Ci ha dato molto più di quanto all’esterno possano pensare. Lui è stato testimone di un calcio che ormai non c’è più”: la lode pubblica di Frondella anticipa anche il tanto atteso one man show. E perché, allora, questa decisione improvvisa, di cui davvero in pochi erano a conoscenza? Antonio non le manda a dire: “La voglia era tanta, la testa mi supportava, il corpo no. Mi alzavo dal letto la mattina e dovevo fare 15 minuti di stretching solo per rimettermi in moto. Ormai non potevo dare più nulla come calciatore. A 18 anni recuperi, a 37 i muscoli si consumano. In realtà avevo pensato già in questi mesi di smettere, ma era ancora forte il desiderio di lasciare un segno in questa città”. Quella città con cui, tuttavia, si è creato un rapporto che difficilmente finirà a breve: “Devo lasciare qualcosa come uomo per ripagare tutto l’affetto e gli attestati di stima che ho ricevuto verso la persona. E anzi, chiedo scusa se magari qualcuno ha pensato che non avessi onorato la maglia. Non appartiene al mio modo di essere. Per me viene sempre prima l’uomo, ho speso una vita per quello. Ho vissuto per farmi amare. Per questo mi è mancata anche la ‘cazzimma’ giusta al momento opportuno. Ora voglio restare qui, in questa città stupenda dove si vive bene e dove ormai ho tanti amici. Questa società è ambiziosa e ha voglia di crescere. Qui posso trovare un nuovo inizio. Intanto ringrazio la famiglia D’Agostino, il direttore, il mister e i miei compagni che mai mi hanno fatto sentire vecchio nonostante due polpacci in crisi…”. Qualità umane, ma anche tanta cultura del lavoro, senza la quale non si arriva a respirare l’aria salubre della cima. “Svegliarmi e pensare a tirarmi su le maniche, questa è stata sempre la mia filosofia di vita. I soldi non contano davanti a questo. Dobbiamo essere di esempio per i bambini che ci guardano. Specie io che ho quattro figli. Questa è stata la molla per arrivare in serie A. Avrei potuto raccogliere di più o di meno, non so. Ma sono soddisfatto di quello che ho fatto. Anche per questo oggi ringrazio tutti quelli che hanno condiviso il mio percorso, anche chi non sopportavo…”. I figli, ma anche una partner fatta per lui, un’amica di sempre: “Mia moglie me la sono trovata vicina in tutti i momenti difficili. Mi ha sempre sopportato e supportato. Forse senza di lei non sarei qui. Ha capito sempre le mie sofferenze ed i miei problemi. Mi nutro di lei e dei miei figli, ogni sacrificio è stato fatto per loro”. Frondella parla di un calcio genuino ormai consegnato alla storia, e Antonio rimarca: “E’ tutto peggiorato. Sono andato in Spagna e ho visto la differenza: è un paese dove tutti hanno voglia di migliorarsi, società ed istituzioni. Tutti pensano al bene collettivo e non al proprio. Qui ci sono ancora strutture insufficienti. In serie C c’è un degrado diffuso e non va bene. In questo senso, spero che anche per Caserta le istituzioni decidano di muoversi per dotare questa città di ciò che merita. Qua parliamo del nostro lavoro. Immaginate se a voi giornalisti decidessero di togliervi la penna…”. Ecco il rammarico segreto. E qui l’ex ragazzo del Rione Traiano è un fiume in piena: “Premetto: ho coronato il sogno di giocare nella squadra della mia città. Salire le scale del San Paolo è una delle cose più belle che possano capitare. Poi ci sarebbe da aprire un libro per quello che ho subito quell’anno insieme a mia moglie. Io non avrei mai lasciato Napoli. Mi sono state messe in bocca parole mai dette, ovvero che volevo lasciare il Napoli perché pensavo alla Nazionale o cose di questo genere. Andavo nei ristoranti e venivo cacciato, etichettato come traditore. Mi danneggiavano l’auto. Là ho vissuto un momento complicato della mia vita. E’ stata dura ma quei giorni mi hanno fatto crescere tanto. E mi hanno stimolato. Ripeto, non ho mai detto quelle parole. Io sono una persona schietta e sincera, sto qui a ribadirlo dopo 25 anni di calcio quando potrei pure dire cose diverse. Non avrei paura di farlo”. E poi la Juve e la Nazionale, con un filo di ironia…: “E’ vero, ebbi una chiamata dalla Juve. Non andai per non fare l’anonima riserva di altri. La Nazionale? Avevo davanti gente come Totti, Del Piero e Gilardino, non tanti di oggi. Dovevo rassegnarmi. Oggi come farei a non starci? Oggi bastano 3-4 gol per arrivarci, ma non voglio offendere nessuno…”.

Si spengono le luci, è il momento dei saluti. Ci concediamo una chiacchiera con Antonio per congedarci. Il suo futuro sarà ancora a Caserta. Antonio Floro Flores, una bella storia vissuta tutto d’un fiato.
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